Testo

Nel bordo inferiore della strada che regge i nostri interventi prima di giungere alla conclusione che porta all’unica “tomba sodale”, incontriamo l’ultima delle edicole funerarie di famiglia.
Questo edificio ci ha consentito di declinare il tema più volte affrontato della trasformazione dell’esistente: ciò che c’è costituisce la materia del progetto di mutazione che la manipola in un processo di evoluzione. La pratica della risignificazione realizza lo strumento del miglioramento e assume un importante ruolo come indicatore della qualità delle relazioni che essa è capace di attivare. Qui noi abbiamo operato ridando alla costruzione, il cui tipo poco significativo è quello utilizzato indiscriminatamente e moltiplicato asetticamente per realizzare il recente ampliamento del cimitero, l’essenzialità geometrica conferendogli la purezza elementare del parallelepipedo.
La costruzione fa un esplicito riferimento a Loos, all’essenziale purezza stereometrica del disegno della sua tomba, un cubo che si eleva da un modesto basamento e anche all’irrealizzato mausoleo progettato per Max Divoràk: un parallelepipedo che si rastrema in alto in tre gradini a ziggurat e in cui si aprono solo il vano di accesso e un vano laterale per illuminare l’interno. La ridefinizione formale ci ha consentito di creare una silenziosa sospensione temporale che si arricchisce della luce solida che un captatore (fig. 43, 45), unica eccezione all’essenzialità geometrica, recapita all’interno su un altare costituito da un cippo di ulivo. Quest’ultimo conferisce alla costruzione un’intensa qualità emozionale ed evocativa essendo stato ricavato da uno degli alberi dell’uliveto che il padre dei proprietari, qui inumato, ha coltivato amorevolmente per tutta la vita. La purezza geometrica, il cippo, la luce che lo investe e la croce nera incisa nella parete di fondo, realizzano un’atmosfera icastica e metafisica che agevola la spontanea e naturale relazione con l’oltre.

DISEGNI